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Questo è il FAC SIMILE dell'articolo pubblicato dal mensile FOCUS STORIA n. 126 - Aprile 2017
Su questo mio sito riporto gli articoli più importanti che trattano dei miei modelli o che mi coinvolgono personalmente.
Prima della pubblicazione di questo articolo ho rilasciato, su richiesta della Rivista, un'intervista. Da questa sono state estratte solo poche frasi che sono state inserite in un testo che tende a sostenere l'ipotesi dell'incendio in un carbonile fra le concause dell'incidente al Titanic.
Io mi dissocio da questa teoria perché ritengo che un principio di autocombustione ci sarà probabilmente stato, ma da qui a dire che lo scafo della nave ne sia rimasto indebolito ce ne corre. Un carbonile è un deposito chiuso e perché si sviluppi un incendio occorre l'ossigeno dell'aria. Le temperature dei carbonili erano certamente tenute sotto controllo. Per questo esistono degli appositi tubi nei quali vengono inseriti dei termometri. In caso di combustione, comunque negli strati inferiori, si interveniva con immissioni di vapore dal basso e, se insufficienti, con l'allagamento dei carbonili, sempre partendo dal basso. Ogni carbonile si sviluppava dalla murata verso il centro dello scafo e interessava solo una parte limitata delle lamiere esterne che, in ogni caso, si trovavano quasi completamente sotto il livello del mare. E' semplicemente impossibile che quella parte dello scafo possa aver raggiunto temperature tali da modificare le caratteristiche del materiale. E' poi lontana da me l'ipotesi che si sarebbe potuto spostare carbone da un carbonile di dritta, magari con autocombustione in corso, ad un carbonile di sinistra per modificare l'assetto trasversale della nave.
Invito i lettori a dare un'occhiata a:
http://www.mitidelmare.it/Le_macchine_del_Titanic_-_Descrizione_generale.html    dove si vede la disposizione dei carbonili e
http://www.mitidelmare.it/Le_macchine_del_Titanic_-_Le_caldaie.html     dove c'è un preciso riferimento proprio ai carbonili.
http://www.mitidelmare.it/Titanic,_caldaie_e_carbonili.html     cerco di spiegare anche l'entrata d'acqua dal compartimento n. 5
https://www.youtube.com/watch?v=IasykpGpMLc&t=7s    
il VIDEO ripete quanto sopra e indica come spegnere un carbonile
Duilio Curradi


Non il ghiaccio, ma il fuoco sarebbe stato la causa del naufragio più famoso della storia.
A più di un secolo dalla tragica notte che vide inabissarsi nell’Atlantico il Titanic, emerge una nuova ipotesi sull’origine del disastro: il “gigante del mare” sarebbe affondato a causa di un incendio sviluppatosi a bordo.
Ma per oltre un secolo non se ne è saputo nulla.
Ad avvalorare la nuova ipotesi, la scoperta di alcune fotografie inedite scattate a Southampton poco prima della partenza del transatlantico.
Una teoria attendibile? Vediamo.

PRIMA I FATTI.
La storia è nota: poco prima della mezzanotte del 14 aprile 1912, durante il suo viaggio inaugurale, il transatlantico investì un iceberg nell’oceano Atlantico.
Si aprì uno squarcio sulla fiancata destra della chiglia e la nave iniziò a imbarcare acqua, finché nel giro di tre ore affondò portando con sé oltre 1500 passeggeri.
Ma come fu possibile che una nave definita inaffondabile, grazie al suo doppio fondo e a ben 16 compartimenti stagni, potesse colare a picco per una collisione con un'isoletta di ghiaccio galleggiante?
L'inchiesta accertò che quell'impatto fu effettivamente la causa del naufragio, provocando una falla che portò all'allagamento dei cinque compartimenti stagni a prua, mentre il Titanic era stato costruito per "resistere" anche con quattro compartimenti allagati.

Tuttavia oggi il giornalista irlandese Senan Molony suggerisce un'altra dinamica: lo squarcio sulla fiancata fu favorito dal fatto che l'acciaio era stato indebolito da un incendio che durava da almeno tre settimane, nel deposito 10 del carbone. «In alcune fotografie andate all'asta di recente», spiega Molony, «si vedono macchie scure sulla fiancata del Titanic, probabilmente in corrispondenza dell'incendio.
Secondo gli esperti di metallurgia a quel livello di temperature, calcolate intorno ai 1.000 gradi, l'acciaio perde fino al 75 % della sua capacità di resistenza.
L'iceberg fece il resto».


A FUOCO! «In realtà può succedere che in un carbonile si sviluppi un principio di combustione, anche se credo sia un fatto piuttosto raro», spiega il capitano Duilio Curradi, Ufficiale di macchina della Marina mercantile italiana, studioso di storia marina e uno dei massimi esperti italiani di Titanic e di navi.

«Ritengo che il personale di macchina, se ci fosse stata una combustione in corso, ne sarebbe stato a conoscenza e l'avrebbe tenuta sotto controllo. In caso di necessità avrebbe potuto allagare il carbonile. Quanto alla eventualità che l'incendio indebolisse lo scafo, nutro molte riserve».

Anzi, un'eventuale combustione avrebbe addirittura aiutato il Titanic a resistere più a lungo.
Per spegnerlo si sarebbe dovuto spostare il carbone in un altro carbonile, sul lato sinistro.
Questo avrebbe avuto l'effetto di aumentare il peso della nave a babordo, impedendole di inclinarsi verso destra dove era avvenuto l'impatto.



UN DISASTRO "PIANIFICATO". Quella di Molony, tuttavia, non è l'unica teoria alternativa emersa negli ultimi cento anni per spiegare il disastro. E non è nemmeno l'unico mistero che circonda la tragedia del Titanic. Ci fu, per esempio, chi pensò che il naufragio fosse stato pianificato a sangue freddo da John Pierpoint Morgan, il leggendario finanziere di Wall Street. C'era una cabina a suo nome sul Titanic, ma all'ultimo momento il banchiere cancellò il viaggio perché, sostengono i complottisti, sapeva che cosa sarebbe successo. Il movente? A bordo si trovavano alcuni degli uomini più ricchi del mondo, come John Jacob Astor IV, Benjamin Guggenheim e Isidor Straus, che sembra fossero contrari alla creazione di una banca centrale per gli Stati Uniti, a cui Morgan credeva fortemente.
A sostegno di una simile speculazione, il fatto che Morgan avrebbe poi contribuito alla creazione della Federal Reserve, cioè la banca centrale americana. Inoltre era titolare della International Mercantile Marine, proprietaria della compagnia White Star Line e, di conseguenza, del Titanic. Ma questo è tutto.

Qualche tempo fa, lo scrittore Robin Gardiner suppose addirittura che non sarebbe stato il Titanic ad affondare nell'oceano Atlantico, bensì il suo gemello, il transatlantico Olympic, allo scopo di truffare la compagnia di assicurazioni.
Nel suo libro The Titanic Conspiracy, Gardiner sostiene che J. P. Morgan avrebbe escogitato il tremendo piano per rifarsi dei danni subiti dalla Olympic, in seguito a una collisione con un'altra nave. Nascosti i danni della Olympic, e dopo averla camuffata per farla somigliare al Titanic, Morgan avrebbe ordinato di mandarla di proposito a scontrarsi con l'iceberg per riscuotere il denaro dell'assicurazione, convinto che i soccorsi sarebbero arrivati prima che la nave colasse a picco.
La falsità di questa teoria, però, venne dimostrata quando furono recuperate parti del relitto.
Il numero di costruzione del Titanic, il 401, fu rinvenuto su ciascuna di esse. Se si fosse trattato dell' Olympic, avrebbe dovuto conservare impresso ovunque il numero 400.



INCREDIBILE PROFEZIA. Il Titanic è anche al centro di quello che a lungo è stato considerato come il caso di premonizione più incredibile della Storia. Quattordici anni prima che il transatlantico partisse per il suo viaggio verso l'abisso, fu pubblicato un racconto di Morgan Robertson intitolato Futility (o The wreck of the Titan), dove si narrava del terribile naufragio di una nave chiamata Titan. L'inquietante somiglianza non riguardava solo il nome, però.
Entrambe le navi, quella fittizia e quella reale, erano considerate inaffondabili a causa dei numerosi compartimenti stagni (19 sul Titan,16 sul Titanic); erano costruite interamente d'acciaio, con tre eliche e due alberi; ed erano state definite le più grandi navi passeggeri mai costruite. Entrambe potevano trasportare circa 3mila passeggeri: il Titan era al completo, il Titanic trasportava 2.235 persone. Ma tutt'e due le navi avevano un numero insufficiente di scialuppe di salvataggio: 20 sul Titanic, 24 sul Titan. Entrambe iniziarono il loro viaggio fatale in aprile sulla rotta che congiungeva l'Inghilterra a New York, e tutt'e due urtarono un iceberg a prua intomo a mezzanotte. La principale differenza tra i due disastri è quindi che nel racconto di Robertson morivano quasi tutti i 3mila passeggeri, mentre sul Titanic persero la vita circa 1.500 persone. Ma come spiegare tutte queste coincidenze se non ipotizzando un fenomeno di preveggenza?.
In realtà, uno scrittore di mare come era Robertson, volendo immaginare un disastro navale, non aveva molta scelta.
Doveva inventare la più grande nave da crociera concepibile, con tanti compartimenti e porte stagne da definirla inaffondabile, ma non abbastanza per esserlo davvero; e le doveva dare un nome evocativo, come Titan (Titano).
Avrebbe poi dovuto immaginare una causa per il naufragio e in tempo di pace, su quella rotta, non poteva essere che un iceberg, responsabile di molti incidenti marini. 

Ma soprattutto si è scoperto che, sei anni prima che Robertson scrivesse il racconto, la White Star Line aveva anticipato i suoi progetti al New York Times, annunciando che era in programma la costruzione di una nave che avrebbe battuto ogni record. Una nave con tutte le caratteristiche poi ritrovate nel Titan e, in seguito, in quello che sarebbe diventato il Titanic. Solo che all'epoca il nome che si pensava di darle era Gigantic. E poiché la White Star Line aveva altre navi dai nomi maestosi, quali Majestic, Teutonic e Oceanie, a Robertson non era rimasto che battezzare la sua Titanic. Ma, volendo evitare una causa in tribunale, tolse l'"ic" e la chiamò Titan. Un buon lavoro di ricerca dello scrittore, nessuna precognizione.
UN PROBLEMA DI ACCIAIO. Non è vero nemmeno che si aprì uno squarcio di 90 metri lungo la fiancata, come raccontato da tanti libri e film. Gli studi iniziati a partire dal 1997, effettuati anche con il sonar, hanno permesso di accertare che le lamiere non si piegarono ma si creparono, creando piccole falle che permisero all'acqua di entrare.

«Effettivamente», dice Curradi, «le lamiere usate per il fasciame del Titanic, così come i chiodi, ovvero i rivetti, che le fissavano alle ordinate e le univano fra loro (non esisteva ancora la saldatura), erano realizzati con acciaio che tendeva a diventare fragile alle basse temperature. La carena del Titanic ha così ceduto nei punti di contatto con l'iceberg».


Non era stata una scelta dettata dal risparmio o dalla negligenza, ma dal fatto che quello era il migliore metallo disponibile all'epoca.
In tempi recenti, poi, grazie al recupero di parti dello scafo, è emerso un altro problema relativo ai rivetti: mentre quelli della parte centrale della nave erano sparati ad alta pressione da una rivettatrice automatica, quelli delle sezioni curve di poppa e prua dovevano essere martellati a mano per questioni di praticità.
Ciò significa che non erano resistenti come gli altri, ma di acciaio più malleabile; e poiché fu proprio a prua che avvenne l'impatto, quei rivetti saltarono come tappi di champagne causando l'apertura delle falle.

DISASTRO EVITABILE?

«Trovo corrette le decisioni dell'ufficiale di guardia in plancia che cercò di evitare l'ostacolo accostando a sinistra e cercando di ridurre la velocità», dice Curradi. «In quelle condizioni penso che non avesse alternative ragionevoli. La presenza a bordo di Thomas Andrews, uno dei progettisti della nave, permise di capire molto rapidamente che il Titanic non aveva possibilità di sopravvivenza. L'ordine di abbandonare la nave è stato dato dopo soli 30 minuti dall'impatto, in tempi assai ridotti. Secondo alcuni però, se il transatlantico avesse proseguito diritto non sarebbe affondato», conclude Curradi. «Un impatto a venti nodi, magari ridotti cercando di fermare le macchine, contro un ostacolo fisso, avrebbe certamente distrutto i primi due o tre compartimenti, ma non avrebbe pregiudicato la galleggiabilità. Ci sarebbero stati morti e feriti, ma non nella misura provocata dall'affondamento. Ma è assurdo pretendere tutte queste analisi da chi si trovava in plancia in quel momento. Ha cercato di evitare l'ostacolo. E non ce l'ha fatta».

Massimo Polidoro

Nella "nave dei sogni"
Il Titanic è arrivato in Italia. A Torino ha da poco aperto i battenti una mostra con pezzi originali del celebre transatlanico e oggetti recuperati in 7 spedizioni di ricerca negli abissi.
Titanic-The artifact Exibition (dal 18/3 al 25/6 alla Promotrice delle Belle Arti) è una mostra ideata dalla società proprietaria del relitto, durante la quale i visitatori potranno vedere anche la ricostruzione in scala reale di una cabina di prima e di una di terza classe, il ponte principale, filmati d'epoca (a lato, il grande scalone), e ascoltare le storie dei passeggeri raccolte dagli eredi e da esperti italiani del Titanic.


Nota dell'autore di questo sito www.mitidelmare.it
e costruttore del modello, in scala 1:100, del R.M.S. TITANIC.


<< Nella foto a sinistra il modello esposto alla mostra
     "Titanic-The artifact Exibition"

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                Nella foto a destra un'immagine degli interni del modello.
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