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Cristoforo Colombo, la prima flotta transatlantica

I modelli della Santa Maria, della Pinta e della Nina
di Duilio Curradi
Articolo pubblicato dal trimestrale di scienza e tecnica Settembre 2009
L'HOBBY DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA

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Questa volta attraversiamo l’Atlantico con la flotta di Cristoforo Colombo.
Lo spunto è dato da tre bellissimi modelli, in scala 1:50, realizzati dal socio dell’A.N.V.O., Paolo Candusso.

Prima di tutto due parole sul nostro “Ammiraglio”.
Gli storici lo hanno fatto nascere un po’ da tutte le parti, ma le fonti più attendibili affermano che Cristoforo, figlio di Domenico e di Susanna Fontanarossa ha visto la luce a Genova in un giorno imprecisato dell’anno 1451.
Il padre fece diversi mestieri fra i quali quello del commerciante, perciò effettuò molti trasferimenti che, come capitava ai liguri, stretti in una sottile lingua di terra con i monti alle spalle, si svolgevano soprattutto sul mare.
Divenuto così un marinaio Cristoforo si imbarcò su una nave mercantile che, insieme con altre quattro, faceva rotta per le Fiandre. Superata Gibilterra la nave fu attaccata dai pirati. I Genovesi ebbero la meglio, ma persero tre delle loro navi fra le quali proprio quella dov’era imbarcato il nostro Cristoforo che raggiunse prima la costa a nuoto, e poi Lisbona. In Portogallo continuò a fare il marinaio spingendosi fino al Golfo di Guinea, verso sud, e fino all’Irlanda, verso nord. Si dedicò anche alla cartografia insieme al fratello Bartolomeo, che nel frattempo lo raggiunse in Portogallo.
In questo periodo i navigatori portoghesi e spagnoli erano impegnati a cercare la via per le Indie circumnavigando l’Africa, ma senza successo. Nella mente di Colombo, che studiava i sistemi di navigazione dei marinai atlantici e imparava a conoscere il regime dei venti, si faceva sempre più strada l’idea di raggiungere l’India navigando verso occidente.
Esposto il suo progetto a Giovanni II di Portogallo, salito al trono nel 1481, riceve un rifiuto. Si spostò allora in Spagna dove, attraverso numerose vicissitudini, riuscì ad entrare in contatto con la Corte spagnola che, impegnata al momento nella guerra contro i Mori, non gli dedicò troppa attenzione. Riprovò allora con il Portogallo dove era appena rientrato Bartolomeu Dias che era riuscito ad arrivare fino al Capo Tormentoso (Capo di Buona Speranza). Se in Portogallo si ritenne risolto il problema della via marittima per le Indie, Colombo capì che le 3.100 leghe che separavano Lisbona dalla punta meridionale dell’Africa e l’oceano che ancora si parava davanti (Indiano), giocavano a favore della sua ipotesi. Rientrato in Spagna tornò a perorare la sua causa presso quella Corte e, sopravvenuta nel frattempo la sconfitta dei Mori, ricevette ascolto.
Le cose non furono, però, così semplici. La trattativa fu molto difficile un po’ perché le casse dello stato, dopo la guerra, erano vuote, un po’ perché Colombo voleva, per sé, tutti gli onori.
Alla fine fu raggiunto un accordo. Colombo ottenne il titolo e il grado di Almirante Mayor del Mare Oceano e la carica di Viceré e Governatore delle terre scoperte con il diritto su un decimo dei redditi di quelle terre.
La città di Palos, in debito verso la corona per una precedente marachella, dovette fornire due caravelle armate ed equipaggiate (la Pinta e la Nina). Per quanto riguardava la nave ammiraglia, grazie anche all’intervento del frate Juan Pérez, uno dei sostenitori dell’idea di Colombo, che seppe risvegliare la cupidigia degli armatori locali, saltò fuori la caracca “La Callega” che, per buon auspicio, fu ribattezzata Santa Maria.
Fu così approntata la flotta.
Sulla Santa Maria, nave ammiraglia, imbarcarono 45 uomini con il proprietario Juan de la Cosa come pilota. Sulla Pinta, comandata da Martin Alonso Pinzòn, ne imbarcarono 25. Sulla Nina, comandata da Vicente Yanéz Pinzòn, ne imbarcarono 20.
Il viaggio
Il 3 Agosto 1492 la flotta salpò da Palos e si diresse verso le Canarie. Colombo aveva imparato che, in quella stagione, nei mari più a sud i venti prevalenti spiravano verso ovest, mentre nei mari più a nord spiravano verso oriente e, quindi, sarebbero stati più favorevoli per il ritorno. Dopo una sosta di quasi un mese alle Canarie partì verso il mare ignoto ad occidente. Trascorsa una decina di giorni i piloti restarono sgomenti nel notare un’incomprensibile variazione nell’indicazione dell’ago della bussola. Colombo li tranquillizzò con uno stratagemma, ma, in pratica, era incappato nella declinazione magnetica (vedi riquadro). Finalmente, verso il tramonto del 7 ottobre, scorse uno stormo di uccelli diretti a Sud Ovest. Colombo decise allora di accostare verso sud “mancando” così il continente nord americano.

A questo punto viene da pensare come sarebbe stato il mondo di oggi se quegli uccelli avessero volato in direzione Nord Ovest.
Ancora qualche giorno di navigazione e il 12 ottobre, dalla coffa della Pinta, si alzò il famoso grido “Terra, Terra”.
La flotta dette fondo alle ancore e Colombo, sceso a terra, prese possesso dell’isola in nome del Re di Spagna dandole il nome di San Salvador. L’isola faceva parte dell’attuale gruppo delle Bahamas.

Spinto dal desiderio di trovare dell’oro visitò altre isole finché giunse nell’attuale Cuba. La Pinta, spinta dalla bramosia del suo comandante di trovare l’oro, si separò dalla flotta, ma successivamente si riunì adducendo la scusa di aver male interpretato un ordine.
Durante queste esplorazioni la Santa Maria, per un errore di manovra, finì sugli scogli facendo naufragio. Colombo, decise allora di costruire un forte dove lasciò di guarnigione l’equipaggio della nave perduta, e si trasferì sulla Nina.
Il 16 Gennaio 1493 decise di iniziare il viaggio di ritorno in Spagna che fu segnato da violente burrasche e da varie disavventure ma, alla fine, il 15 marzo 1943, gettò l’ancora nel porto di Palos.
Le caratteristiche delle tre navi
La Santa Maria era una caracca. Questo tipo di nave, sviluppatosi nella seconda metà del Quattrocento imitando le cocche dei mari del nord (vedi riquadro), aveva uno scafo tondo e panciuto. Il castello a prua ed il cassero a poppa erano assai elevati. Aveva tre alberi. Quello di trinchetto e quello di maestra erano armati con vele quadre, quello di mezzana con vele latine. L’albero di maestra, alto 26,6 metri, portava il grande “trevo”, con la croce, e sopra una piccola vela di gabbia. Sotto il bompresso c’era la piccola vela quadra che si chiamava “civada”
L’equipaggio dormiva sotto il castello di prua, mentre la cabina dell’Ammiraglio si trovava nel cassero di poppa. La nave era armata con bombarde, colubrine e alcune spingarde portatili. Innalzava lo stendardo di Castiglia e Leon e, sull’albero di mezzana, l’insegna della flotta.
La Pinta, il cui nome significava “dipinta”, aveva una vela quadra all’albero di trinchetto, una più grande, sempre quadra, all’albero di maestra, mentre all’albero di mezzana montava una vela triangolare latina. Anche la Pinta aveva un castello ed un cassero.
La Nina, il cui nome significava “bambina”, era lunga 20 metri ed era attrezzata con vele latine. Non aveva il castello di prua e il cassero a poppa era talmente ridotto che il timoniere si trovava in parte sotto coperta. Durante la sosta alle isole Canarie Cristoforo Colombo fece modificare la velatura di questa nave. Non esistono dati certi su questa modifica, ma fu certamente montata almeno una vela quadra in modo da sostenere un’andatura portante, ovvero sfruttare meglio il vento proveniente da poppa.

La costruzione dei modelli
Il Socio dell’ANVO Paolo Candusso ha costruito queste navi utilizzando tre scatole di montaggio. A questo proposito, e soprattutto a beneficio di chi è attratto dall’idea di cimentarsi in questo tipo di realizzazione, è utile precisare che la scatola di montaggio, o di premontaggio come la chiama qualcuno, non è altro che una confezione nella quale si trovano i disegni del modello ed il materiale, soprattutto il legno. C’è la stoffa per le vele, le bandiere, i bozzelli, le caviglie, le lanterne, ecc. Tutte cose che, altrimenti, andrebbero costruite da sé o acquistate separatamente. Questo sistema rappresenta certamente un grande aiuto, ma è soprattutto necessaria una buona manualità accompagnata da buone dosi di pazienza e precisione. Esiste comunque la possibilità di acquistare soltanto i disegni e coniugare un po’ di più il verbo arrangiarsi. Qualunque sarà la strada scelta la soddisfazione di vedere oggetti di questo genere, realizzati con le proprie mani, sarà motivo di grande soddisfazione ancorché di orgoglio quando capita di portarli alle mostre. Buon lavoro e, soprattutto, buon divertimento.

Declinazione Magnetica
Tutti sappiamo dov’è il Polo Nord, ovvero il punto dal quale passa, a nord, l’asse terrestre. In quel punto si incrociano anche i meridiani, ovvero gli infiniti cerchi immaginari che servono per determinare la longitudine di un punto. Sappiamo anche che, a causa del magnetismo terrestre, l’ago della bussola si rivolge verso il nord, ma le cose non stanno proprio così. Il nord magnetico, ovvero quello che attrae l’ago della bussola, non corrisponde con il Nord geografico, ma sta un po’ più in là. Non solo. Non sta neppure fermo. Si sposta nel tempo verso est o verso ovest. Allora quando ci troviamo in un punto qualsiasi sulla superficie della terra possiamo individuare due direzioni: quella che va verso il nord geografico e quella che va verso il nord magnetico. L’angolo formato da queste due direzioni si chiama “angolo di declinazione magnetica”. Per facilitare i calcoli, e correggere la rotta, il suo valore, e la sua variazione nel tempo, sono indicati sulle carte nautiche.

La Cocca
Erano bastimenti a vela sviluppatisi nei mari del nord intorno al XII secolo. Avevano le estremità molto rialzate ed erano costruiti con fasciame sovrapposto. Inizialmente avevano un solo albero armato con una vela quadra e la loro lunghezza era di circa 20 metri. Con il tempo le loro dimensioni crebbero ed aumentò il numero degli alberi e delle vele. Il castello di prua si ridusse, mentre il cassero si sviluppò per contenere la cabina del capitano.